SCUOLA CREATIVA . sito dedicato a Gianfranco Zavalloni, intuizioni ... il suo cammino... per chi vuole proseguire
Tecnologie Appropriate

Tecnologie Appropriate

Cos’è una tecnologia appropriata?

Nel gruppo di Cesena questo tema è sempre stato centrale.
Perchè l’uomo, privo di istinti e infinitamente più povero di virtù corporee (non ha la vista dell’aquila, il fiuto del cane, gli artigli della tigre) si relazione oggi con l’ambiente e con i suoi simili attraverso l’uso della tecnologia.

Che cosè allora la tecnologia?
La tecnologia è il processo che conduce ad individuare i suoi bisogni e a trovare una soluzione per soddisfarli. Un vaso è una tecnologia, una forchetta è una tecnologia, un libro è una tecnologia.

Cos’è una tecnologia appropriata?

Le tecnologie appropriate oggi

Oggi la tecnologia non è soltanto uno strumento, una realizzazione offerta sul mercato dei consumi dalla moderna industria. In una accezione ampia e globale, la tecnologia è la soluzione ad un bisogno umano che nasce dalla simultanea compresenza di uomini, attrezzature impiegate, ambiente naturale organizzazione produttiva. Possiamo quindi definire una qualsiasi risposta ad una esigenza umana, cioè una tecnologia, dal punto di vista sociale, economico, ecologico e politico.

Le tecnologie appropriate sono perciò quelle risposte ai bisogni fondamentali dell’umanità che:

•socialmente migliorano le condizioni di vita della gente

•economicamente usano in maniera saggia le risorse del pianeta

•ecologicamente rispettano gli equilibri e le leggi della natura

•politicamente decentrano fra la gente il governo della cosa pubblica

Bisogni essenziali comuni e generalizzati, quali il lavoro della terra, la produzione di beni e servizi, l’abitare, lo spostarsi, il vestire, il mangiare, il comunicare e tanti altri hanno avuto storicamente e in luoghi diversi risposte e quindi tecnologie più o meno appropriate.

Un giorno durante una conferenza un signore intervenne dal pubblico e diede una bellissima definizione una tecnologia appropriata è una tecnologia che causa meno problemi di quelli che risolve.

LA BICICLETTA
un mezzo di trasporto a nostra misura

Lo sappiamo quale giocattolo è al primo posto fra i preferiti dai bambini e dalle bambine italiane?
Eh sì, è proprio lei: la bicicletta.

Ma la bicicletta, confidenzialmente “bici” non è solo un giocattolo. È un vero e proprio mezzo di locomozione “a nostra misura”, cioè adatto a noi bambini e bambine.Se poi lo confrontiamo con gli altri veicoli è lo strumento più efficiente per spostarsi per strada, soprattutto a piccole distanze.
Quali sono le doti della bicicletta?

Vediamole insieme.
• E’ maneggevole cioé con la bicicletta possiamo andare praticamente dappertutto e non c’è bisogno di grandi conoscenze per essere ben mantenuta e riparata.
• Consuma poche risorse, infatti non ha bisogno di carburanti, e, se ben costruita, la sua durata è di vari decenni.
• Con un buon portapacchi può servire anche di carichi per il trasporto di carichi,
• E’ ecologica in quanto non emette nè gas di scarico nè rumori molesti. Per essere parcheggiata non occupa grandi spazi a differenza delle automobili che ormai hanno invaso tutte le piazze e le strade delle nostre città.
Contribuisce a migliorare la salute della persona. La bicicletta infatti mantiene il nostro corpo in esercizio e quindi in buona salute
• Contribuisce a creare un clima di pace nella città. Il rumore, l’inquinamento, il congestionamento del traffico, la scarsità di aree verdi e di luoghi di ricreazione, creano un clima di tensione e di aggressività nelle nostre città. La bicicletta riduce ed annulla tutto ciò.

È importante quindi usare la bicicletta
Possiamo e dovremmo utilizzarla il più possibile, per recarci a scuola, per spostarci nella città, per passeggiare con gli amici o in famiglia.
E poi possiamo imparare ad usare la bicicletta per giocare (ad esempio le gimkane in bicicletta).
E perchè non proporre ai nostri insegnanti una gita scolastica in bicicletta, alla ricerca dei posti nascosti a pochi chilometri dalla nostra scuola?
Per fare tutto ciò è necessario poter usare la bicicletta “senza pericolo”, soprattutto senza rischiare di essere investiti dai mezzi motorizzati.

Il nostro Comune cosa fa per la bicicletta?
È necessario e importate, perciò, che ne parliamo a scuola o con gli amici. E poi, magari, chiediamo un incontro col sindaco o con i responsabili comunali ai problemi del traffico. Portiamo in quegli incontri le nostre proposte! Chiediamo che siano fatti dei percorsi per sole biciclette, cioé le famose “piste ciclabili”.
Chiediamo di poter andare a scuola senza finire sotto un’automobile.

Alcuni altri suggerimenti
Impariamo l’arte di riparar la bicicletta, come ad esempio rattoppare una camera d’aria forata o il cambio del cerchione e del copertone.

Per far questo sarebbe bello far la conoscenza di un meccanico di biciclette e della sua bottega;

Alcune curiosità sulla bicicletta

• Leonardo da Vinci, che nel 1493 ne disegnò il primo bozzetto.

• Realizzata nel 1791 dal conte di Sivrac, la bicicletta viene perfezionata definitivamente nel 1899 dal costruttore inglese William Hume. Ma dopo poche decine di anni la bicicletta è stata soppiantata dall’automobile.

Link consigliati:
http://fiab-onlus.it/ (ovvero la federazione italiana amici della bicicletta)

LA GITA IN BICICLETTA, NELLA TERRA DELLE CILIEGIE

Carissimo Gianfranco,
voglio raccontarti della nostra bellissima gita di quest’anno: il 15 maggio siamo andati da Vignola a Spilamberto in bici. 5 chilometri bellissimi, con tante facciotte stanche e felici. E’ stata una bella prova per tutti: bimbi, genitori e famiglie; un’esperienza che ha confermato un importante rapporto di fiducia. Con la collega, già al primo colloquio di novembre, abbiamo un po’ spiazzato alcuni genitori chiedendo loro se i bimbi sapevano andare in bici. La nostra pacifica armata era composta da bici di varie misure, alcune con le rotelline ed anche un monopattino. Una corda del maestro ha trainato una fanciulla: solo tre catene cadute e nessuna foratura. Una lieve sbucciatura è stato l’unico trauma. Alcune cadute (poche) e poi in piedi, anzi, in sella.

Abbiamo visto campi di grano, ciliegie a pochi passi,  fatta tanta educazione stradale senza troppe schede da colorare… visitato un parco bellissimo, mangiato al sacco, fatta la pipì all’aperto (per due una vera prima volta), scoperta un’acetaia, … visitata la casa del Magalasso (la prossima volta ti dirò cos’è).
La cosa interessante è stata la partecipazione delle persone che incontravamo. I vigili in bici che ci hanno accompagnato all’andata, i nonni che ci spronavano ricordandoci che hanno fatto tutte le elementari in bicicletta (e tanti solo a piedi) , alla vice sindaca di Spilamberto che ci ha scattato la foto, ai semplici passanti che si fermavano guardandoci, …
Bene, ora ti lascio, avrei voluto inviarti prima la foto , ma come sai balliamo da un po’ di giorni e che qui, grazie a Dio, non abbiamo avuto danni, ma a mezz’ora da qui…

Spero di poterti conoscere presto, ci tengo veramente tanto.
Il maestro Augusto Bonaiuti (abonaiuti@tiscali.it)
Vignola 15 maggio 2012

Visita il sito web www.tecnologieappropriate.it

Costruire con la semplicità. Tecnologia, natura e società

di Alberto Rabitti

L’incontro

Qualche giorno fa rileggevo un mio quadernino dell’università. Durante una delle ultime lezioni avevo scritto in grossa calligrafia “Le idee sono dappertutto: cogli l’attimo”. Gianfranco con la sua vita quotidiana conosceva, praticava ed insegnava il ‘carpe diem’. Fu la prima cosa che mi dimostrò. Conobbi Gianfranco nell’estate del 2005. Non avevo mai sentito parlare di lui prima, ma un’amica che conosceva i miei lavori e i miei laboratori per bambini mi aveva convinto a scrivergli. Bastò un pomeriggio. Discutemmo di molte idee reciproche tra cui un Bando Regionale in scadenza a giorni, a cui volevo partecipare. Gianfranco si lanciò subito “Io ora sono Dirigente Scolastico, se vuoi creiamo assieme un progetto in cui il mio Istituto faccia da Segreteria e da Capofila”. Nei tre anni successivi, di progetti regionali ne vincemmo tre consecutivi.
La dice lunga sulla vulcanicità dell’uomo Gianfranco ciò che avvenne l’anno in cui preparammo un viaggio per educatori in Francia, in un centro 29 di didattica della terra cruda 1 dove avevo studiato anni prima.
Avevamo organizzato tutto il necessario per tempo: contatti, preventivi, trasporto, alloggi…per tutti gli iscritti. Ma, tra i suoi mille impegni, ci ritrovammo a scrivere il progetto con cui avere i fondi necessari alla mezza-
notte dell’ultimo giorno disponibile. Il miracolo lo fece poi un’amica impiegata alle poste il giorno successivo e il progetto fu accettato.
Altrettanto fu l’anno successivo quando Daniele, il fratello, ci salvò correndo a consegnare i documenti necessari ad un nuovo progetto all’ultima ora concessa. Poi, ripensandoci, disse una volta “… e che importa se non ci danno i soldi, tanto lo facciamo lo stesso!”. Questo ragionamento mi spaventava un pò e così in seguito a quegli ‘sgoccioli del tempo’, mi presentai sempre con i documenti già pronti. Certo raccontare questo,
oggi, può far sorridere ma anche pensare a quanto potremmo aver messo in difficoltà altre persone, facendo sempre secondo i nostri ritmi personali.

Il desiderio comune e la tesi mai finita
Parlavamo spesso delle nostre esperienze all’estero, fino ad allora le più profonde per entrambi, e delle nostre tesi di laurea
Ecco, Gianfranco è stato per me un uomo che non ha mai smesso di scrivere la sua tesi, per quella sua voglia di conoscere, di riflettere sulle proprie esperienze dirette e per quella voglia di raccontarle.
Girando in auto assieme, gli occhi parlavano per lui del desiderio di cercare ovunque. Vicino come lontano da casa era una continua ricerca di esperienze, sia a due passi da Cesena, fermandosi d’improvviso per rac- cogliere qualcosa o per interrogare un contadino, come partendo di notte per raggiungere in aereo un cestaio in Spagna.
Proprio per questo, secondo me, i momenti di apprendimento più preziosi con lui erano quelli non organizzati, grazie anche alla sua costante disponibilità allo scambio.
Alla base di quei primi anni di lavoro assieme, c’era il desiderio comune di creare esperienze utili ai nostri sogni ed a chiunque altro avesse voluto imparare e approfondire temi legati al costruire naturale e alla manualità con i materiali della natura attraverso iniziative, laboratori o cantieri aperti.
Utopia ricorrente era quella di far maturare l’Ecoistituto delle Tecnologie Appropriate in un centro di opportunità lavorative per giovani, laboratorio fruibile per corsi, luogo di ritrovo e scambio di conoscenze, libri, pro- dotti locali e amicizia per chiunque.

Le tecnologie appropriate e la pratica personale
Le Tecnologie Appropriate furono infatti il cuore della sua tesi e curiosi- tà continua nella vita. Tecnologie semplici a misura d’uomo e natura. Già nel racconto con cui ne dava descrizione da studente, era evidente attorno a queste tecnologie un’idea di società, dal gioco dei bambini fino alle attività degli adulti e un approccio personale alla vita che intrecciava i saperi e non li separava.
Proprio nella sua tesi ripeteva moltissime volte ‘tutto è legato’. E basta vedere l’originalità del suo piano di studi – un mix di economia, sociologia, urbanistica ed ecologia – per rendersene conto.

Infatti, anche nei pensieri di Gianfranco, una tecnologia è appropriata se contemporaneamente:
– a livello sociale migliora le condizioni della gente,
– a livello economico usa in maniera saggia le risorse della terra,
– a livello ecologico rispetta gli equilibri e le leggi della natura,
– a livello politico decentra fra la gente il governo della cosa pubblica.
Quando poi gli chiedevano cos’è una tecnologia appropriata, riportava un intervento che aveva raccolto da una persona fra il pubblico di una conferenza: “La tecnologia appropriata è quella che risolve più problemi di quelli che crea.”
Ecco le basi ideali dell’impegno comune, perseguito in questi anni, nello sperimentare praticamente tecniche di costruzione diffondibili il più possibile e quindi il più possibile semplici.
Tecniche fatte con materiali naturali, secondo processi alla portata di tutti e realmente rispettose di quelli di cui vive la natura.
Esempio chiarissimo sono le tecniche di base per costruire con la terra. Si possono infatti scegliere i prodotti pre-confezionati affidandosi ad esperti oppure procedere per prove ed errori, secondo gesti ripetibili da chiunque, utilizzando materiali reperibili vicino casa. Si cerca attorno a sé la terra migliore per consistenza, si scava, si raccoglie, si setaccia, si pre- parano sabbie, polveri di pietra, paglia o altro ancora, si impasta secondo dosi diverse per fare le prove, si attende e si scelgono le dosi. Poi si preparano gli attrezzi da utilizzare con le mani e ci si dà tutto il tempo che serve per applicare l’impasto.

Lo stesso spirito è stato anche nelle nostre ricerche attorno alle tecniche con i rami, dal salice al carice, con i legni, con la paglia, con le pietre, dal gesso alla calce.
Ogni tecnologia appropriata quindi si caratterizza per una tecnica specifica ma adotta uno sguardo molto più ampio, attento alle dinamiche sociali, economiche, ecologiche e politiche in cui si inserisce.
Per “tecnologia”, infatti, in ogni campo di azione dell’uomo, non si dovrebbe intendere solo l’uso che si fa di una macchina, di uno strumento o di un sapere per un determinato scopo, bensì il processo che crea la soluzione ad un bisogno dell’uomo. Ogni processo nasce dall’ampia combinazione del lavoro umano, degli strumenti, della tecnica, dell’ambiente e dell’organizzazione produttiva e sociale.
L’aggettivo “appropriata” deriva quindi dall’idea di una società non-violenta verso l’uomo e la natura, attenta al “valore d’uso” dei beni che pro- duce e non al loro valore commerciale, ricca di individualità creative, autonome ed in rete.Tante volte abbiamo parlato delle botteghe artigiane come micro mondi da preservare. In altrettante occasioni in cui un amico veniva a trovarci in Ecoistituto, dopo pranzo Gianfranco proponeva di andare a visitare la Bottega Pascucci di Gambettola. Non sottolineava mai come là avrem- mo trovato tanto di lui, innamorato com’ era di quei legni, di quei gesti, di quegli odori, di quel fare consapevole e piccolo, di quei tempi umani che avremmo trovato in bottega.
Ricordo un’altra occasione in cui, tornato da Bologna, raccontai a 33 Gianfranco della Bottega Dingi, in via Nosadella.
Questa bottega, in cui si lavora il ferro battuto per creare maniglie, chia-
vi, bocchette è conosciuta da generazioni. Il titolare mi fece visitare un seminterrato stracolmo di pezzi antichi ancora in uso, accuratamente conservati in mobili fatti di infiniti cassetti. Mi mostrò semplicissimi attrezzi che riempivano una piccola stanza in cui mani sapienti producevano nuovi articoli tra muri colorati dal nero del ferro battuto e dal tempo. Una volta tornato a casa, inviai informazioni di questa bottega a Gianfranco; bastarono dieci minuti perché lui si collegasse ad internet per discutere di come avremmo dovuto progettare un sito aperto a tutti, in cui chiunque avrebbe potuto aggiornare l’infinito elenco di questi ‘luoghi del sapere manuale’, frammenti di una rete inconsapevole che anche così avrebbe potuto essere tessuta e via via accresciuta, perché “ogni sapere deve essere condiviso”.
La stessa cosa mi disse più volte ripensando ai tanti suoi amici artigiani romagnoli (dai più affermati come il Tegliaio di Montetiffi, ai meno conociuti come il Sig. Mellini, il coltivatore di officinali di Montegelli o Elena.


Lo stesso spirito è stato anche nelle nostre ricerche attorno alle tecniche con i rami, dal salice al carice, con i legni, con la paglia, con le pietre, dal gesso alla calce. Ogni tecnologia appropriata quindi si caratterizza per una tecnica specifica ma adotta uno sguardo molto più ampio, attento alle dinamiche sociali, economiche, ecologiche e politiche in cui si inserisce internet.
Nei suoi sogni c’era certamente l’auspicio che tutte queste ‘individualità’ potessero collaborare il più possibile tra loro, ricreando pro- cessi completi e appropriati (dalla raccolta di un materiale fino al suo impiego) o creandone di nuovi.
Capitava, ad esempio, di parlare di mio padre, artigiano tagliatore pellettiere e della sua bottega quasi irriconoscibile dalla strada, perché priva di cartelli o nomi. Si parlava di come i macchinari da lui utilizzati siano pochi, semplici e ormai vecchi. Di come, prima di iniziare ogni taglio, analizzi le pelli appena arrivate per ottenere il minor spreco possibile. Di come le tocchi, le tiri, le osservi in tutti i suoi punti deboli prima di decidere. Di come tagli tutto praticamente a mano libera su stampi di cartone, alcuni dei quali fatti da lui a costo zero ormai trenta anni fa. Però, si parlava anche dei motivi per cui mio padre oggi non possa più conoscere l’ori- gine della pelle che gli viene portata dai suoi stessi clienti di venti o tren- ta anni fa, in un ciclo ormai spezzato forse irrimediabilmente.
La tecnologia porta il codice della società che l’ha concepita e cerca di riprodurre questa società”, diceva Gianfranco nella sua tesi. Per diffonde- re la cultura insita in questa idea spese tante forze e mise tutta la sua abi- lità nel fare conoscere le persone anche a distanza, perché potessero scambiarsi realmente qualcosa o perché, nelle sue idee, prima o poi ne sarebbe nata la possibilità.

La pedagogia dei materiali naturali
I nostri progetti, dai laboratori per l’infanzia ai cantieri per gli adulti, hanno avuto il cuore in tutto questo, in una continuità costante tra l’architettura, l’arte e la pedagogia.
Anche Gianfranco era convinto del valore educativo aperto a tutti e insito in queste tecnologie con i materiali che la natura ci rende disponibili. Questo fu evidente ai partecipanti di un viaggio che organizzammo sull’Appennino di Reggio Emilia presso il laboratorio di Giovanni, un amico restauratore con cui realizzammo la trasformazione della pietra in calce e la cottura di pietre di gesso in una fornace di sasso da lui costrui- ta, restando svegli a turno la notte per assistere il fuoco.
Gianfranco, nell’articolo in cui raccontava di quei due giorni, si esprime- va così: “…insieme abbiamo svuotato la fornace dei sassi calcarei cotti i giorni prima e abbiamo poi caricato la stessa con sassi di gesso, raccolti in quelle località dell’Appennino Emiliano denominate, per l’appunto, ”della vena del gesso”. Abbiamo così proceduto all’accensione della fornace che, alimentata continuamente a legna, sarebbe poi rimasta accesa per ventiquattro ore. Partito il fuoco siamo passati all’acqua.
A pochi metri di distanza, su una vasca di legno, sono stati posati i sassi di pietra calcarea cotti – in precedenza – per tre giorni consecutivi. In quello stato, le pietre calcaree sono bianche, leggere (il processo di cottura fa perdere la componente di umidità riducendo il peso di circa il 40%) ma ancora piena della loro forte consistenza. Dalle mani esperte di Giovanni Gazzotti arrivano le prime gocce di acqua, poi alcuni litri, infine secchiate: tutti ci diamo da fare e lo aiutiamo.
Ed ecco il miracolo. Quelle che erano prima sassi di una certa consistenza iniziano ad aprirsi, si gonfiano, fumano, crepano, producono calore (la temperatura raggiunge i trecento gradi) a volte saltano, friggono e poi…
si sciolgono. L’abbraccio con l’acqua ha reso il sasso qualcosa di cremo- so, burroso che diventa poi della consistenza della panna liquida. La calce viene poi versata in enormi vasche (buche scavate nella terra) e lasciata a maturare, sotto una coltre di sabbia, per almeno tre anni. Quella pie- tra, originariamente nata milioni di anni fa, trasformata dal fuoco e dal- l’acqua, diventerà così la base “naturale” per costruire case, intonacare o fare affreschi. Qualcuno di noi mette su legna nella bocca della fornace. La pietre di gesso iniziano a prendere colore: dovranno successivamente diventare di color rosso-viola fino a tornare bianche. È sera. Ci si pre- para per la cena. E concludeva dicendo:
“Giovanni ci ha dato una vera lezione di pedagogia. Si apprende facendo, sperimentando, mettendo le mani in pasta, percependo con la pancia il calore del fuoco, toccando i materiali, capendo i percorsi della vita.” In questi anni, la volontà di ritrovare risposte in queste semplicità che nascondono grandi ricchezze e la collaborazione di altri ragazzi appassionati, ha portato il nostro Ecoistituto, su questi temi come su altri, a organizzare laboratori per bambini e adulti, corsi e convegni, a scrivere libri, opuscoli e manifesti, ad attrezzare spazi per bambini ed aree pubbliche.

Lo scambio continuo
Nella sua tesi Gianfranco sottolineava spesso il carattere ‘comunitario’ delle tecnologie artigianali che raccontava, di come venissero applicate da gruppi di ‘campesinos’ assieme.
Mi ripeteva più volte, durante i nostri scambi di informazioni, come lo scambio tra le persone fosse per lui una tecnologia semplice, di cui l’uomo poteva e doveva approfittare, soprattutto in un ‘epoca che ha teso così tanto a separare le individualità, le esperienze e la memoria dall’oggi. Io credo si possa parlare con la stessa importanza dello scambio possibile con le persone – i loro saperi, le loro intuizioni e le loro azioni – e con l’ambiente naturale – le sue bellezze, le sue qualità e le sue opportunità. L’organizzazione continua in questi anni di corsi, convegni e libri nasce dal bisogno di distribuire conoscenze pratiche alle persone comuni e volon- terose.
Ho già accennato alla disponibilità personale di Gianfranco allo scambio
nella vita quotidiana; proprio per questo, andare a Cesena o accendere
skype, (durante gli anni della sua esperienza in Brasile), per raccontargli di
artigiani incontrati, di attrezzi provati o di libri acquistati, sicuro di ricevere da lui di più o altrettante esperienze, è l’abitudine reciproca che più mi manca oggi.
Per il tempo che mi ha offerto e per questi insegnamenti che ancora non so praticare come vorrei, come verso i suoi fratelli e la mamma, negli anni ho accumulato un senso di grande debito, che non ho avuto il tempo di contraccambiare quanto volevo e che ora porterò gelosamente con me.

Tratto dal libro Disegnare la vita. I mondi di GianfrancoZavalloni Ed. Fulmino 2013

I mondi di Gianfranco

di Leonardo Belli

Uno dei mondi di Gianfranco che per più lungo tempo ha attraversato la sua breve esistenza è quello del Gruppo di Ricerca sulle Tecnologie Appropriate (GRTA) – Centro di Informazione Nonviolenta (CIN), oggi conosciuto da molti come Ecoistituto.

Alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, decidemmo, lui ed io insieme, di scrivere la nostra rabbia giovanile nei confronti di un mondo che dopo le speranze del ’68, aveva attraversato la “follia” degli anni di Piombo. Molti ricorderanno che era un periodo in cui si andava verso una violenza inutile e in “rotta di collisione” con l’ambiente naturale ridotto a merce di scambio. La tragedia di Seveso del 10 luglio 1976 con la contaminazione di diossina dallo stabilimento ICMESA fu una ferita difficile da rimarginare. Stampammo col ciclostile a manovella, tre numeri di un foglio dal titolo ispirato a Don Milani, I Care. Fa tenerezza, ora, rivedere quei tre fascicoletti scritti su carta azzurrina, gialla e bianca.

Poi nel 1981, una sera d’autunno, ci incontrammo in quattro a casa sua, nella sua stanza, più simile ad un bazar arabo che ad una camera da letto:
era stracolma di libri, oggetti, pezzi di legno, cuoio, sassi, cartoni… al punto
che sua madre ci disse: “ci vorrà una ruspa per spostare tutto”.

Fu in quella sera che fondammo il GRTA-CIN, con la voglia di cambiare il mondo attraverso le scelte dell’abitare, del far politica e degli stili di vita ecocompatibili.
Iniziammo subito a mettere insieme le esperienze e i pochi documenti allora esistenti, sui terni della violenza militare in America latina, delle piogge acide per inquinamento industriale in Germania, del tumore allo stomaco da abuso di pesticidi che decimava i nostri contadini amici e parenti romagnoli. Incontrammo anche l’amministrazione Comunale che ci concesse, nel giugno 1983, una bellissima e spaziosa sede in Via Sacchi 3, dove aprimmo la prima biblioteca tematica aperta al pubblico su pace, ambiente e nonviolenza.

Nel settembre dello stesso anno organizzammo un convegno nazionale dal titolo “modelli di sviluppo e tecnologie appropriate” che fece conoscere la nostra esperienza alla cittadinanza.

In quel convegno la tavola rotonda fu condotta in maniera indimenticabile dal prof. Carlo Doglio. Incontrammo anche i vertici dell’Unità Sanitaria Locale che non avevano mai sentito parlare di inquinamento da piogge acide e da ricaduta di polveri contaminate. Ricordo ancora i nostri sguardi che si incrociarono increduli. In quegli anni intensissimi organizzammo il “primo corso di agricoltura biologica all’Istituto Agrario” suscitando grande curiosità e qualche scetticismo fra i professori.

Sono stati anni laboriosi, anni di studio e di formazione veri, anni che ci hanno portato a costituire le Liste Verdi Locali ed Ambientaliste che ebbero un successo enorme nelle elezioni comunali del 1985. L’ anno prima, nel dicembre 1984 a Bophal in India, erano morte migliaia di perso- ne per colpa della complicità della politica nella distruzione del territorio e forse la gente, impaurita, volle credere in quell’esperimento politico. Gianfranco fu il primo consigliere comunale verde, io il secondo e poi altri, a seguire, in quel principio di rotazione alla Cincinnato che fu una novità apprezzata dalla gente e contestata dai politici di professione.

Io seguivo in quegli anni il tema del riciclaggio dei rifiuti, Oscar Tordi quel-
lo dell’utilizzo della bicicletta come mezzo d’elezione per spostarsi in cittàe della mobilita,̀ Gianfranco quello delle energie alternative.
Non passava settimana senza che ci chiamassero un po’ da tutte le parti
d’Italia a fare conferenze e incontri su questi temi.
Era un inizio di aggregazione delle persone sulle idee e sui bisogni. E già
allora, Gianfranco vedeva nell’educazione dei bambini la possibilità di
radicare nella cultura questo nuovo modo di vivere. L’Ecoistituto è stato,
per le molte persone che lo hanno frequentato, uno spazio fisico dove
mettere in pratica ciò in cui si credeva in un sereno spirito di confronto
e di amicizia. Negli anni, le sedi nelle quali ci siamo spostati, erano spazi
ristretti con molti libri, molti documenti ma senza uno spazio esterno. Il
vero cambiamento è avvenuto dieci anni fa con la nuova struttura di
Molino Cento, all’interno della azienda agricola della famiglia Zavalloni.
In questo spazio sono stati fatti tanti laboratori con i ragazzi delle scuole
ma, molto importanti, sono stati anche i convegni per gli adulti come ad esempio quello annuale sugli orti di pace, quello sullo scambio dei semi,
la creazione di uno dei primi Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) del territorio.

Ho ancora in mente una lettera del luglio 2004 indirizzata al Consiglio Comunale di Cesena, nella quale proponevamo 19 punti per la gestione della politica locale. È un documento ancora attualissimo che parte dai gesti quotidiani e arriva alla mobilità sostenibile ed al riuso dei rifiuti.

Il cuore del GRTA è la biblioteca, ricca di libri, documenti e mostre rea- lizzate. In essa molti studenti provenienti da tutte le parti d’Italia hanno fatto tirocini formativi e preparato le loro tesi di laurea.
All’Ecoistituto, c’è stata in questi anni, tanta vivacita,̀ tante idee, e tanto fermento. E il futuro cosa ci riserva?

Dipenderà da ognuno di noi, da quelli che sono stati vicini a Gianfranco e che ancora credono fermamente nel valore di questo luogo di ricerca e di esperienze: io ci sono e voi?

Tratto dal libro Disegnare la vita. I mondi di GianfrancoZavalloni Ed. Fulmino 2013