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La Pedagogia della Lumaca

La Pedagogia della Lumaca

La pedagogia della lumaca per una scuola lenta e non violenta

Sapremo ritrovare tempi naturali? Sapremo attendere una lettera?
Sapremo piantare una ghianda o una castagna sapendo che saranno i nostri pronipoti a vederne la maestosità secolare?
Sapremo aspettare?
Sono tante le domande alle quali, a partire dalla mia esperienza di maestro, di dirigente scolastico e di volontario nell’associazionismo, cerco di dare risposte con la pubblicazione del libro LA PEDAGOGIA DELLA LUMACA edito nella collana Mondialità, dalla Casa editrice EMI di Bologna.
Ed ecco il senso di questo sito: si tratta di intraprendere – a mio avviso – un nuovo cammino educativo. Cari genitori, insegnanti, educatori (e tutti coloro che ruotano attorno al mondo della scuola e della educazione) cominciamo a “riflettere insieme” sul senso del nostro tempo educativo e sulla necessità di adottare strategie didattiche di rallentamento.
Christoph Baker nella sua prefazione al libro mi scrive: Noi esseri umani non siamo più importanti di una farfalla, di una spiga di grano, di un sasso levigato dal torrente o di un tramonto sontuoso al largo dell’Isola del Giglio… Come è nobile la lumaca che ci insegna, grazie alle belle pagine di questo libro, che lento è bello!
Gianfranco Zavalloni

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PREFAZIONE AL LIBRO “LA PEDAGOGIA DELLA LUMACA”
di Christoph Baker

Quando si parla di lentezza, bisogna parlare anche di leggerezza e di fragilità.
Questi concetti sovversivi per la nostra società trionfante nel suo materialismo pesante e devastatore, sono la misura di un reale cambiamento antropologico di cui l’umanità ha urgente bisogno.
Rallentare, oggi come oggi, è diventato un imperativo di sopravvivenza.
In effetti l’accelerazione esponenziale di questa versione della modernità, basata sulla tecnologia e sul consumo insostenibile di risorse finite, ci sta portando dritto a un punto catastrofico di non ritorno (almeno per gli esseri umani: per tante altre specie viventi, la campana ha già suonato diverso tempo fa).
Ci vuole un certo coraggio, certo, a staccare la spina della propria partecipazione alla corsa folle della società capitalista.

Ci vuole coraggio a smettere di essere homo economicus, cercando di recuperare o di scoprire altre dimensioni di questa nostra povera vita umana.
Svariate metafore vengono in mente, quando ci si ferma solo un istante a osservare l’andazzo di un mondo completamente alla deriva (non mi parlate di “miracolo cinese o indiano”!).
Una è quella del treno ad alta velocità che ha però due difetti: non ha conducente e non ha freni.
Quella dell’orchestra che continua a suonare e la gente a ballare, mentre il Titanic affonda definitivamente.
E una terza è la fiaba del “Re nudo”.

Comunque la si metta, urge un risveglio dal torpore in cui la civiltà occidentale ha indotto l’uomo fino al punto di raggiungere il traguardo euforico della globalizzazione, del mito della crescita economica illimitata.
Ma se nessuno si ribella, se nessuno urla il proprio dissenso, come possono i nostri figli e nipoti rendersi conto del regalo avvelenato che gli abbiamo donato, facendoli nascere in un mondo violento, arrogante, egoista e rapace?
Perché mai una bambina o un bambino dovrebbe scegliere di sua spontanea volontà una vita più rispettosa, più giusta, più dolce, se tutto intorno non è che competizione, legge del più forte e del più volgare?
Certo, c’è chi si affida ai miracoli, ma l’evidenza va in un’altra direzione.
L’evidenza presenta un’umanità prigioniera di un unico scopo nella vita: guadagnare e consumare.
Tutto il resto è stato sacrificato sull’altare del vitello d’oro.
Quindi, dare l’esempio. O almeno provare a indicare un’altra strada. Una strada lenta, tranquilla, misteriosa a tratti, confortante ad altri.

Parlare di tempi necessariamente liberi dal mito del progresso lineare, della barzelletta che oggi si deve stare meglio di ieri e che il domani dovrà essere ancora più radioso.
Sperimentare dal vivo il tornare indietro che è un naturale e salutare riflesso quando ci si accorge di avere imboccato una strada che più sbagliata non si può.
Invertire rotta è sempre stata una pietra fondamentale della secolare saggezza marinara (ma chi si ricorda più dei capitani di lungo corso?).
Dare le dimissioni da una visione violenta e riduttiva della vita.
Dichiarare la propria obiezione di coscienza al massacro permanente che si chiama sviluppo economico. Non ci sono ricette preconfezionate, per fortuna!
Il cammino si farà camminando, come dice Antonio Machado.
E come indicato sopra, i compagni di viaggio saranno la lentezza, la leggerezza e la fragilità. L’uomo è più patetico che mai quando pretende di programmare tutto, di controllare tutto, di dominare tutto.

Per godere a pieno della vita, serve un grande bagno di umiltà.
Noi esseri umani non siamo più importanti di una farfalla, di una spiga di grano, di un sasso levigato dal torrente o di un tramonto sontuoso al largo dell’Isola del Giglio.
Liberarci dall’arroganza di specie sarà una festa!
Imparare a porre il piede con la massima attenzione per non sconvolgere più del dovuto la vita invisibile che ci ronza intorno.
Curare ogni gesto con il massimo della dolcezza, per non recare inutili ferite a chi ci sta vicino.
Portare la nostra vulnerabilità a fior di pelle, a fior di cuore, nel palmo della mano.
Quella mano che si porge allo sconosciuto.
Quelle mani che vogliono accarezzare e non più picchiare, che vogliono abbracciare e non più cacciare via.
Non è più tempo di teorie universali e schiavizzanti.
È giunta l’ora del grande disarmo culturale e filosofico. Lasciamoci alle spalle la rincorsa affannosa e infelice a un benessere materiale, e abbracciamo il richiamo della vita che ci circonda e che ci offre gratuitamente la sua infinita ricchezza.
Impariamo ad ascoltarla, a rispettarla, ad accompagnarla, ad esserne travolti. Ogni tentativo di indicare tale strada è nobile.
Come è nobile la lumaca che ci insegna, grazie alle belle pagine di questo libro, che lento è bello!
I nostri figli, ma anche noi genitori ti ringraziamo, Gianfranco Zavalloni!