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Biografia Gianfranco

Biografia Gianfranco

Giangranco Zavalloni


Per presentarsi diceva di sè…

Ho trascorso un’infanzia felice. Passata soprattutto attorno alla mia casa. Ho giocato fin da piccolo con la terra e l’acqua.
Non è di tutti i bambini potersi sporcare in mezzo a piccoli fossetti d’acqua che portano da bere, in luglio, ai peschi o ai fagiolini rampicanti.
Oppure avere un banco con gli attrezzi da falegname, con cui potersi costruire giocattoli di legno.
Ora, a 50 anni, vivo nella cosiddetta bioregione Romagna vicino a Cesena.
Il mio attuale lavoro, da 12 anni, è fare il Dirigente Scolastico dopo aver fatto, per 16 anni il maestro di scuola materna.
Mi piace una scuola creativa, attenta all’ecologia pratica, alle abilità manuali, alle lingue locali, alla multiculturalità.
Ho promosso la diffusione degli orti nelle scuole. Amo disegnare e dipingere. Per passione faccio burattini nella compagnia teatrale Baracca & Burattini.
Sono fra i fondatori dell’Ecoistituo di Cesena, una onlus che lavora per diffondere “tecnologie a misura d’uomo”.
Su questi argomenti mi sono laureato nell’84 in Economia e commercio.

Chi indovina chi è Gianfranco?

nell’anno scolastico 1964/65 – nella pluriclasse di Molino Cento, frazione di Cesena.


Il Premio Malatesta Novello 2021

Motivazione:

Gianfranco Zavalloni, indimenticato maestro di scuola materna e dirigente scolastico, molto noto anche nel mondo ecologista e cattolico, è scomparso prematuramente nel 2012, all’età di 54 anni. Nato a Cesena nel 1957, è stato insegnante di scuola dell’infanzia e dal 1996 dirigente scolastico in diverse località italiane e in Brasile. Conosciuto nel panorama nazionale soprattutto per il suo libro testamento “La pedagogia della lumaca”, che racchiude il suo pensiero pedagogico e per il “Manifesto dei diritti naturali di bambine e bambini” del 1994, ha fondato il Gruppo Ricerca Tecnologie Appropriate e Comunicazione Non Violenta (GRTA CIN), associazione con sede a Cesena, che approfondisce e ricerca tematiche globali come l’inquinamento e le disparità economiche. Uomo di pace e promotore della nonviolenza è stato un membro attivo della “Pattuglia nazionale dell’Agesci dedicata alla obiezione di coscienza al servizio Militare”. A lui, pedagogista attento che intendeva la scuola come luogo creativo che insegni ai bambini ad amare e a proteggere il proprio territorio, il Premio Malatesta Novello 2021 alla Memoria, per essere stato un instancabile educatore e prezioso alleato della crescita dei più piccoli e di tutte le famiglie che hanno avuto la possibilità di incontrarlo nel loro cammino. Il suo insegnamento e la sua esperienza, così come i suoi testi e disegni, continuano ad esistere oggi grazie all’impegno del gruppo della lumaca che continua a diffondere e sostenere le sue idee. Per Zavalloni la pedagogia è da intendersi come una disciplina che non si predica ma si pratica attraverso la cura e la scrupolosa osservazione dei bisogni di ogni bambino.

Nella foto il Sindaco di Cesena Enzo Lattuca e Stefania Fenizi

LA BIOGRAFIA

Gianfranco Zavalloni, nasce il 7 Dicembre del 1957 a Cesena (FC), è insegnante alla scuola dell’infanzia per sedici anni e poi dirigente scolastico in varie località in Italia.
È noto nel panorama italiano soprattutto per il suo libro La pedagogia della lumaca, che racchiude il suo pensiero pedagogico e per il Manifesto dei diritti naturali di bimbi e bimbe del 1994.
Di famiglia contadina, ecologista, uomo di pace, teorico oltre che della Pedagogia della lumaca anche della contadinanza attiva, Zavalloni è amante dei burattini, del disegno e dell’educazione e si dedica a queste passioni facendole diventare la sua vita e il suo lavoro, scrivendo molti testi sulla sua idea di scuola e curandone spesso anche le illustrazioni.

Durante la sua vita gira per l’Italia cercando di diffondere e condividere le idee che negli anni matura sulla scuola e sull’educazione sia in convegni e conferenze, sia come formatore per gli insegnanti.
Fonda il Gruppo Ricerca Tecnologie Appropriate e Comunicazione Non Violenta (GRTA CIN)un’associazione con sede a Cesena, che ricerca e fa divulgazione con un orizzonte anche globale su temi locali come per esempio l’inquinamento, le disparità economiche, ecc.
Grazie al suo lavoro nelle scuole, sia come insegnante sia come dirigente scolastico, egli riflette continuamente sulle condizioni dell’infanzia e della scuola nella nostra società, maturando quindi la proposta di una nuova idea di educazione: una scuola lenta, basata sul principio di Rousseau che perdere tempo è guadagnare tempo, attenta al lavoro manuale, al rapporto con la natura, al gioco, all’imparare dagli errori.
Cresciuto in un contesto di cultura rurale dove la natura, la manualità e l’ecosostenibilità rappresentano punti cardine fondamentali, aggiunge alla sua formazione, già durante la scuola primaria, lo Scoutismo in cui crede e si sviluppa il suo orgoglio di appartenere alla classe popolare contadina, il suo ‘orgoglio contadino’ che lo porta anche a rafforzare e orientare il suo pensiero politico e a intrecciarlo con tutte le sue esperienze di vita e educative.
Innovazione e forte legame con il territorio caratterizzano anche i vissuti scout: divenuto educatore a fine anni Settanta la sua attività educativa tende a trasmettere ai bambini un forte senso di appartenenza alla comunità e alla vita pubblica creando un rapporto di collaborazione e sintonia tra le varie istituzioni, la parrocchia, il quartiere e la scuola.
Il suo percorso scolastico non é lineare; dopo la maturità liceale sostiene l’esame da privatista di licenza all’Istituto magistrale per potere candidarsi al concorso per la scuola dell’infanzia.
Conseguita l’abilitazione, inizia a lavorare a scuola diventando così il primo uomo, nei primi anni Ottanta, a fare il maestro di scuola dell’infanzia in Emilia-Romagna.
Al contempo si iscrive alla Facoltà di economia e commercio presso l’Università di Bologna, nelle vesti di studente-lavoratore.
Durante gli anni universitari matura sempre più un convinto pacifismo, sostenuto e accresciuto soprattutto da due scritti di Don Milani: Lettera ai giudici9 e L’obbedienza non è più una virtù.
La scelta pacifista avviene all’interno del contesto scout; inizia infatti a partecipare agli incontri nazionali degli scout obiettori di coscienza compiendo un percorso autonomo sia culturale sia politico che lo portano a diventare obiettore fiscale alle spese militari e a sviluppare ideali che appoggiano e sostengono il disarmo e la salvaguardia dell’ambiente.
Momento fondamentale per la sua formazione é la lettura del testo sulle tecnologie appropriate di Ernst Friedrich Schumacher, Piccolo è bello.
Attratto dai temi e dagli spunti che gli vengono offerti da questo testo indirizza il suo piano di studi in maniera molto originale, inserendo nel suo corso l’esame di ecologia.
È avvantaggiato in questo anche grazie all’incontro con il professore Carlo Doglio dell’Università di Bologna con il quale elabora la sua tesi, che lo porta a laurearsi nel 1984, dal titolo Dagli Appennini alle Ande e ritorno.
Le tecnologie appropriate e alternative come strumenti di modificazione sociale; nel suo lavoro di ricerca mette in luce una comparazione fra l’economia rurale romagnola e quella andina.
Per svolgerla trascorre sei mesi in Perù, sull’altipiano delle Ande, vicino al lago Titicaca, tra la popolazione quechua, dove studia e osserva le tecniche di produzione energetica a impatto zero.
Queste ricerche e le relative osservazioni sul campo segnano definitivamente il futuro impegno di Gianfranco Zavalloni sul tema della sostenibilità e della salvaguardia ambientale, impegno che sfocia inizialmente nella partecipazione alla creazione di una rete fra le associazioni Verdi italiane, costituita a Bologna, che prende il nome di Arcipelago verde.
Nel 1985 Gianfranco Zavalloni viene eletto consigliere comunale dei Verdi a Cesena (è il primo consigliere comunale verde). In quegli anni la Lista di Cesena contribuisce a organizzare il primo incontro nazionale sul tema dell’inquinamento prodotto dalle automobili.
L’esperienza di consigliere comunale è però molto breve: Zavalloni non vuole proseguire una strada ormai caratterizzata da continue mediazioni politiche e deformazioni cristallizzate nelle logiche di partito.
Preferisce quindi rivolgersi completamente a contesti dove il suo impegno può manifestarsi in maniera più diretta e trasparente come per esempio la scuola, il territorio e l’arte.

Già nelle sue prime esperienze da insegnante, insieme ai bambini comincia a sperimentarsi in quella che sarebbe diventata una delle sue passioni più grandi: il teatro dei burattini, che parte con un laboratorio nella scuola di Sorrivoli, scuola di un minuscolo centro sulle colline del cesenate.
Collocata nel centro del paese venne creata, come spesso avviene per le scuole di campagna, da un’ex-abitazione, disposta su due piani.
Il teatrino viene creato usando materiali di recupero in corridoio; due erano i boccascena, uno per gli adulti e un altro per i bambini che possono cimentarsi creando rappresentazioni per i compagni.
Viene utilizzato quotidianamente, come se fosse un rito, con la consapevolezza che il teatro di animazione consente ai bambini di esternare sentimenti ed emozioni, soprattutto paure.
Dai semplici adattamenti di fiabe della tradizione come piccoli sketch per i bambini della scuola dell’infanzia, con la collaborazione di genitori e amici, passa all’organizzazione di spettacoli anche per adulti durante le feste paesane. Ne nasce una compagnia teatrale di figura che i burattinai, Zavalloni e l’amico Tontini Flavio, chiamano Baracca e Burattini.
Nel 1987 la compagnia inizia a organizzare una rassegna di burattini al Castello di Sorrivoli: negli anni sarebbe diventato il Festival dei grandi Burattinai di Sorrivoli che ogni estate, per una settimana nel mese di agosto, richiama i migliori artistiburattinai a livello internazionale.

Zavalloni avvia in quel contesto anche le esperienze dell’orto scolastico e nella natura del bosco.
Per lui l’essere contadini è un vero e proprio stile di vita che chiama contadinanza attiva.
Essa consiste nell’essere consapevoli del lavoro dei nostri predecessori e nel tramandarlo alle generazioni future adattandolo ai nuovi tempi; si esplica nel riconoscere il valore della terra, intesa come madre, e nel creare una coscienza del rispetto e del senso di appartenenza comune ad essa. Per Zavalloni questi concetti possono essere ben sintetizzati nella pratica degli orti scolastici.
Curare un orto sin da bambini è infatti un esempio di didattica attiva sia per le mani sia per la testa, un’ottima pratica di pedagogia applicata.
Con l’esperienza dell’orto a Sorrivoli i bambini iniziano a mangiare biologico e sono coinvolti anche i genitori che si mostrano volenterosi nel prendere parte all’iniziativa e dare una mano ai propri figli.
Furono numerose anche le attività nel bosco che circondava il paese, dove avviene l’assaggio dei frutti spontanei come le fragoline di bosco oppure gli asparagi selvatici che vengono raccolti e cucinati. In queste attività di scoperta del territorio vi è quindi una conoscenza di nuovi sapori ma anche di rumori e odori della flora e della fauna tipica.
Fondamentali in queste attività sensoriali sono la presa di coscienza del sé corporeo; le capacità culinarie e linguistiche sviluppate ed infine gli apprendimenti logici, pittorici e teatrali che vengono interiorizzati.

Nel maggio del 1996 Gianfranco Zavalloni partecipa al concorso per direttore didattico.
La commissione che deve valutarlo si trova in difficoltà sulla sua promozione; rimane una giornata intera a discutere sul suo testo che trattava di temi didattici ritenuti poco ortodossi.
Su questi temi in seguito, nel 2008, Zavalloni pubblica La pedagogia della lumaca, in cui delinea la sua cornice pedagogica di riferimento.
Diviene comunque dirigente scolastico iniziando la sua esperienza a Moena, in Val di Fassa. Anche in questo nuovo ruolo, Zavalloni porta tutto il suo essere divergente e fuori dagli schemi rischiando spesso di non avere il consenso e la stima da parte di tutti.
Durante questo periodo, come in ogni momento delle sue molteplici esperienze, crea intorno a sé una rete di persone e associazioni coinvolgendo anche il sindaco e le biblioteche, in modo da garantire una collaborazione per il bene della scuola, dei bambini e degli insegnanti che ci lavorano.
Da amante delle cose semplici e dirette, il suo ostacolo principale in questo ruolo è la burocrazia scolastica, della quale un dirigente deve occuparsi quotidianamente.
La spontaneità che caratterizza Zavalloni è quel tipo di semplicità che in quanto tale è difficile a molti; infatti non tutti riescono a rendere le cose da dire e da fare semplici, dirette, immediate e allo stesso profonde e cariche di significato.
Queste idee di semplicità sono anche quelle di Bruno Munari, molto apprezzato da Zavalloni.
Entrambi sostengono l’idea che con i bambini non siano necessarie complicazioni, ma che basti parlare loro in maniera semplice, diretta e chiara facendo loro vivere esperienze educative in prima persona.

Nel suo peregrinare da dirigente, toccando Carpegna, Rimini, Pennabilli, Gatteo e infine Sogliano al Rubicone, direzione in cui aveva iniziato come maestro, mette in atto tutte le esperienze, che le sue convinzioni gli hanno dettato da insegnante, e le nuove conoscenze e gli stimoli che le nuove collaborazioni costruite durante il percorso aggiungono.
Il riferimento va ad Antonio Guerra, detto Tonino, con il quale condivide interessi e passioni tra i quali l’amore per la Romagna, per la poesia, e per il disegno e la pittura; va al maestro Federico Moroni, che scopre nel 2005, sempre grazie a quell’ opera di ricerca e riscoperta di materiale e tracce dal passato che caratterizza il suo essere dirigente, Zavalloni negli archivi della direzione di Sogliano si imbatte nei diari di questo maestro fuori dal comune.
Egli sarà uno di quei maestri che lo segneranno profondamente; afferma infatti in A scuola dalla lumaca: «Maria Montessori, Baden Powell, Don Milani, Ivan Illich, Gianni Rodari, Carlo Doglio e Federico Moroni: sette maestri che hanno inciso profondamente nella mia esperienza di educatore».


Oltre alle varie esperienze in diversi contesti scolastici italiani Zavalloni ha modo di lavorare e sperimentarsi anche all’estero.
Dal 2008 al 2012 lavora infatti come responsabile dell’Ufficio scuola e cultura del Consolato d’Italia di Belo Horizonte, in Brasile.
Grazie all’esperienza brasiliana, Gianfranco Zavalloni ha modo di rapportarsi in prima persona con una tematica molto attuale come quella dell’emigrazione. Conosce il professor Ruy Magnani Machado, discendente di terza generazione di un minatore che dalla Romagna emigra in Brasile nel lontano 1896 in seguito al fallimento della miniera di zolfo di Formignano (Cesena) presso la quale lavorava. Zavalloni conosce il fondatore della Società di ricerca e studio della Romagna mineraria: Pier Paolo Magalotti dal quale viene a conoscenza delle miniere di zolfo del cesenate.
Vuole approfondire la vicenda anche in Italia e lancia con l’associazione, al suo rientro per ferie, il progetto: Da Formignano a Passagem de Mariana.
Questa iniziativa intende ricercare i discendenti dei minatori romagnoli emigrati in Brasile nella miniera d’oro di Passagem de Mariana.

A Belo Horizonte inizia a organizzare incontri con la comunità degli emiliano-romagnoli e spiegando loro l’ambizioso progetto che era appena stato ideato in Italia, riesce a coinvolgere l’Università della città e in particolare la professoressa Patrizia Collina Bastianetto, che lo aiuta nell’opera di ricerca negli archivi statali; la consulta degli Emiliani-Romagnoli nel mondo, che prende parte al progetto con una borsa di studio da devolvere a un ricercatore brasiliano e infine i senatori dell’America Latina eletti nel Parlamento italiano. In Brasile Zavalloni, Magnani Machado e la professoressa Bastianetto coinvolgono Luca Palmesi, un giovane laureando che svolge un accurato lavoro di ricerca negli archivi della città di Belo Horizonte.
Nonostante le difficoltà che si presentano lungo il percorso e che rendono a dir poco ambiziosa la ricerca, col passare del tempo e grazie all’impegno continuo, iniziano a scoprire i primi nomi dei minatori cesenati che sono emigrati in Brasile.

Zavalloni inoltra l’elenco dei nominativi al fondatore dell’Associazione in Italia Pierpaolo Magalotti, che subito inizia a cercare riscontro nelle anagrafi storiche del comune di Cesena e di quelli limitrofi. Emergono tantissime storie, tantissime famiglie, tantissime partenze dal porto di Genova, tantissimi morti in mare durante le lunghe traversate, soprattutto bambini. Nel novembre 2010 Zavalloni organizza, vicino alla miniera d’oro di Passagem de Mariana, un convegno sull’emigrazione romagnola.
In Brasile, Zavalloni inoltre ha l’opportunità di iniziare un lavoro di ricerca al fine di ritrovare testimonianze e documentazioni sul contributo del maestro Alberto Manzi in America Latina.
Dal 1955 Manzi ogni estate si reca in Sud America. Qui emerge e si sviluppa la sua grande passione per i popoli nativi americani.
A contatto con queste popolazioni si rende conto delle loro condizioni sociali e culturali: sono poveri, soprattutto a livello culturale e questo é da imputare maggiormente all’incapacità di leggere e scrivere.
Per svolgere la ricerca sulla permanenza e sull’operato di Manzi in America Latina, porta in Brasile, dopo averla tradotta in portoghese, la mostra Alberto Manzi. Storia di un maestro realizzata dal Centro Alberto Manzi del Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna.
L’esperienza di Zavalloni in Brasile viene interrotta da problemi di salute; a metà ottobre del 2011 ritorna a Cesena dopo che gli viene diagnosticato, all’ospedale di Belo Horizonte, un grave tumore.
Zavalloni scrive il racconto di come viene a conoscenza di questo terribile fatto e lo fa attraverso quel mondo che per anni lo appassiona e caratterizza la sua esperienza: i burattini e le fiabe.
In particolare, lo racconta paragonandosi al lupo della storia che i suoi bambini preferiscono vedere rappresentata, quella di Cappuccetto Rosso.
Quel lupo, che si ritrova la pancia piena di sassi e che cadrà nel pozzo per dissetarsi, diverrà lui, cui i grossi sassi sono tolti, ma rimangoo quelli piccoli, che il 19 agosto del 2012, all’età di cinquantaquattro anni se lo portano via.

Tratta dalla tesi di laurea in Storia della Pedagogia 2018-19 di Carlotta Sacchini presso Università di Bologna