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Lingue Locali

Lingue Locali

LINGUE BIO-REGIONALI

“Apprendere un’altra lingua significa
riguardare in modo diverso il nostro mondo”

LA VERGOGNA DI PARLARE “DIALETTO
” Siamo in un epoca di passaggio, una fase storica in cui si rischia di perdere completamente le tradizioni linguistiche delle comunità locali.
E’ quel retroterra che oggi scientificamente possiamo definire patrimonio etno-linguistico.
Andare verso una società multietnica e multiculturale senza radici profonde nel proprio contesto è estremamente pericoloso.
La lingua parlata da una comunità è sicuramente uno degli strumenti primari per porre in profondità queste radici.
E’ chiaro che con questo non intendo dare valore unicamente alla madre-lingua. Ma è bene chiarire che cosa intendo quando uso termini come lingua, dialetto, comunità linguistica.
La lingua nazionale (per noi l’italiano) è la lingua con cui siamo abituati normalmente a comunicare e che fin da piccoli assorbiamo in maniera spontanea dal contesto socio-culturale e dai mass media. C’è poi la lingua locale. E’ in genere quella che chiamiamo dialetto, e per molti parlanti è la madre-lingua.
Il dialetto è una lingua e ciò significa che dal punto di vista linguistico non è il “sottoprodotto” della lingua nazionale o di altre parlate.
E’ un sistema di comunicazione autonomo e compiuto, anche se conta un numero limitato, o anche limitatissimo, di parlanti.
La lingua nazionale è un dialetto. Prendiamo come esempio il francese attuale: esso non è altro che il dialetto di Parigi il quale, in virtù della forza centrifuga dispiegata dalla capitale, è andato gradatamente estendendosi su tutta la Francia. In che cosa consiste dunque la diversità fra dialetto e lingua?
Nel fatto che il dialetto conosce un uso limitato nello spazio e costituisce la voce di un mondo, di una cultura circoscritti: alla famiglia, al paese, alla provincia. (Cfr G.Freddi Progetto ITALS – Italiano come lingua straniera, Brescia CLADIL, 1974) Nelle nostre realtà la lingua-madre dialetto è parlata in famiglia soprattutto dai nonni e in buona parte dai genitori. In genere è una lingua parlata dagli adulti dai 30-35 anni in sù, capíta da chi ha meno di 30 anni ma non parlata, generalmente, da quest’ultimi.
Un individuo, che nel proprio repertorio linguistico conti solo sulla lingua locale, ha un’autonomia comunicativa assai limitata. Il suo raggio di socializzazione o acculturazione difficilmente supererà i confini della provincia. Se noi riconosciamo gli aspetti positivi dell¹insegnamento dell¹italiano nei quasi 150 anni dello Stato unitario italiano non possiamo però dimenticare che milioni di ragazzi sono stati educati nell¹ignoranza di loro stessi e delle loro origini.
Si è creato un clima culturale e sociale in cui ci si vergognava di parlare il ³dialetto² dei loro genitori e si arrossiva delle proprie origini popolari, contadine, montanare. Ci si sentiva stranieri nella propria terra. Un siffatto imbarazzo psicologico ha intralciato il progresso intellettuale e ritardato la promozione sociale così.

REINTRODURRE LE LINGUE BIOREGIONALI A SCUOLA
Tavo Burat, esponente storico dei movimenti di difesa delle minoranze etno-linguistiche sostiene giustamente che “con una doverosa introduzione nella scuola della cultura e della parlata regionale, si porrebbe termine ad un¹alienazione ingiusta e crudele.
Si restituirebbero ai giovani la fiducia nella propria comunità e la fierezza delle proprie origini sociali.
Attraverso la conoscenza della letteratura regionale (anche di quella di tradizione orale: canti, leggende, ecc.) gli allievi scoprirebbero le pagine e le espressioni più preziose di coloro che scrivono nel linguaggio familiare, quello di tutti i giorni: della casa, dall¹amicizia e del lavoro.
Vedrebbero che l¹accademismo non è necessariamente il criterio di una cultura superiore. I figli degli immigrati, lungi dal sentirsi imbarazzati dall¹incontro scolastico con la cultura locale, avranno un valido strumento per meglio inserirsi nella comunità che li ospita. Insegnare la lingua locale a scuola, è come offrire, sulla mano aperta, la chiave di casa. E¹ quindi un atto di apertura, e non di ³chiusura², come invece alcuni ³glottofagi² vanno cianciando.
Del resto è frequente il caso, specie in provincia, di ragazzi figli di immigrati i quali parlano la lingua locale con più slancio e sicurezza di quelli del posto (tipico è l¹esempio, dei patoisants calabresi in valle d¹Aosta!). Se la lingua locale entra nella scuola, si introduce la preparazione costante con l¹italiano, la ginnastica intellettuale del passaggio da un codice linguistico all¹altro. Si invoca l¹insegnamento del latino per dare all¹allievo l¹esperienza di una struttura grammaticale differente dalla nostra: la stessa funzione è esercitata, su una base molto più larga non (ancora!) a livello meramente archeologico, dal ³dialetto². Si farà nascere così nell¹allievo un vero ³fiuto² linguistico, una più precisa percezione dei fatti grammaticali. Ammorbidiremo il suo spirito, strappandolo al monolitismo di una sola grammatica e di una norma dogmatica.” (manoscritto inedito diTavo Burat )
Non v¹è affatto incompatibilità di principio tra lo studio delle nostre parlate bioregionali, veicolo di una civiltà ad un tempo intima ed umanista, e quello delle lingue delle relazioni internazionali. E siamo così alla terza componente linguistica: la lingua straniera.
Conoscere un lingua straniera è, in questo senso, una modalità per superare il nostro etnocentrismo. Avere la possibilità di comunicare con lo straniero nella sua lingua o in una lingua che entrambi conosciamo permette il superamento di un potenziale condizionamento al colonialismo culturale.
L’esperienza di una lingua artificiale come l’esperanto, che pure poteva assolvere a questo compito di evitare la colonizzazione di una lingua sulle altre, ha dimostrato che una lingua è tale se riesce a trasmettere i sentimenti e tutti quei particolari “stili di vita” di un popolo. Cresciuti con la conoscenza del proprio ambiente umano, come già del resto prevedono i programmi scolastici, gli scolari apriranno il loro cuore alla visione del mondo a partire dal proprio paese.
Ne trarrà vantaggio l¹universalità della cultura, poiché questo allievo, a proprio agio nelle tradizioni locali, naturalmente rinnovate e modernizzate, affronterà senza squilibri psichici le grandi trasformazioni sociali del nostro tempo: buona parte dello smarrimento che minaccia la gioventù moderna troverebbe un valido rimedio in questo umanesimo nostrano, di cui auspichiamo l¹ingresso nella scuola. (manoscritto inedito diTavo Burat )

PER UN LINGUISMO BIOREGIONALE
Noi vogliamo: – rinnovare il contatto tra la cultura popolare e la scuola; – restituire il bambino al suo ambiente, grazie ad una pedagogia veramente innovatrice; – dare al bambino un¹idea più democratica, più giusta, non razzista della cultura; – portarlo a conoscenza delle migliori produzioni orali e scritte nella sua lingua bioregionale; – nutrire l¹insegnamento della lingua italiana mediante la comparazione costante con la parlata familiare; – rendere percettibili tutti i rapporti esistenti tra cultura in italiano con la cultura (bio)regionale, convinti che essi determinino il volto vero, benché misconosciuto, della vita intellettuale della penisola italiana; – difendere e valorizzare, anche nell¹interesse del patrimonio spirituale dell¹Italia e dell¹Europa, culture oggi ancora (malgrado tutto!) vitali, ma che rischiano tra poco di estinguersi; – evidenziare come il patrimonio delle ³mille culture² italiane, non sia meno prezioso di quello costituito dai monumenti, dalla fauna e dalla flora, dal paesaggio.
Di conseguenza, noi domandiamo: – che gli insegnanti siano formati con metodo all¹insegnamento della civiltà e della cultura popolari bioregionali; – che tutti gli allievi nella Repubblica Italiana abbiano le fondamentali nozioni della loro civiltà originaria; – che, sin dalla scuola materna e comunque dal primo ciclo, si eviti di sradicare il fanciullo dal suo ambiente naturale e che si rinsaldino, invece, le radici umane che lo legano alla sua comunità ed alla sua terra; – che lo si inizi, in seguito e progressivamente, alla conoscenza della sua cultura originaria inserita nella cultura e nella lingua locale e queste nel più grande ambito macroregionale e statale; per le minoranze di comunità linguistiche parte di comunità linguistiche comprese in altri Stati, che esse possano, nel contempo, accedere alla cultura cui si riferisce la loro parlata locale (albanese, croata, francese, greca,occitana, slovena, croata); – che, quando si affrontano i problemi della cultura, si insegnino tutte le forme di questa cultura, nel quadro storico e geografico che le sono proprie, in prospettiva, appunto, bioregionale; – che questo insegnamento sia integrato nei programmi e negli orari anche per iniziativa dell¹amministrazione regionale e che se ne tenga conto agli esami di licenza e di maturità; – che l¹insegnamento superiore formi una classe dirigente regionale istruita nella propria cultura ed in grado di inserire quest¹ultima nel più vasto quadro europeo.

10 IDEE PER UN CURRICULUM LOCALE
in versione “romagnola”

Ho spesso trattato dell’importanza – a scuola – del come rispetto al cosa. Ho sostenuto cioé che non è importante tanto l’argomento che viene trattato, giorno dopo giorno a scuola, ma “quello che conta è il come viene trattato, cioè la didattica“. Vorrei però ora, ad inizio di un nuovo anno scolastico, porre l’attenzione su quell’aspetto della cosiddetta autoomia scolastica che va sotto il nome di “curriculum locale”.
Le normative scolastiche di questi ultimi anni hanno introdotto la novità di una percentuale del 15-20 % di programmi didattici da gestire in piena autonomia.
Da parte cioè di ciascun istituto scolastico.

In termini concreti “curriculum locale” potrebbe voler dire:

  • per una giornata di 5 ore, 1 ora;
  • per una settimana di 5 giorni, 1 giorno;
  • per un mese di 5 settimane, 1 settimana
  • e per un anno di 10 mesi, 2 mesi.

Didatticamente parlando potrebbe essere l’occasione, questa, per introdurre in una scuola molto spesso centrata sulla testa, l’idea dell’ora quotidiana di “attività manuali” o il “mese d attività all’aperto”. Ho provato a pensare in termini locali, ad alcuni temi da suggerire alle scuole per questa percentuale di curriculum. E siccome vivo in terra di Romagna, ho pensato a temi tipicamente romagnoli. Ne è uscito fuori un elenco che sottopongo ai lettori di Cem Mondialità e che potrebbe comunque essere la base di partenza per farne poi, per ciascuno di noi, uno proprio, legato alle proprie origine, radicato cioé, nel proprio ambiente di vita.
1. Gli stampatori a ruggine. E’ una tradizione artigianale tipicamente romagnola, che va conosciuta e difesa nella sua originalità. Esistono circa una decina di botteghe che, alcune con tradizione centenaria, ancor oggi praticano – a mano – la stampa di tele di cotone, lino o canapa, utilizzando stampi scolpiti in legno e colore estratto dalla lavorazione della ruggine.
2. La piadina romagnola e i crescioni. E’ il pane quotidiano delle nostre case. Quanti esempi di questi tipi di pane (a volte sono il vero primo “fast food”) esistono in Italia!?
3. La lingua romagnola. Quello che molti ancora chiamano dialetto. Non dovremmo perderlo: è un patrimonio orale (e oggi anche scritto) tipico di ogni luogo della terra. Dovrebbe essere introdotta nei programmi come lingua madre, una lingua che viene prima della lingua europea. Ma c’è anche il napoletano, il veneto, il bergamasco, il bolognese, il genovese… ogni terra ha la prorpia lingua madre, o regionale.
4. Le teglie e i tegliai di Montetiffi. Cosa sarebbe la piadina senza le teglie di Montetiffi. Oggi, per fortuna, due artigiani giovani hanno ripreso a farle, recuperando una tradizione e una storia che andava scomparendo. La teglia è un testo costruito a mano con terre argillose e roccie dure, per poi cuocere col fuoco vivo la piadina.
5. La centuriazione romana. Vista dall’alto la Romagna è suddivisa in rettangoli di terra. L’origine di tale divisione è nell’antico impero romano. Quanti ragazzi oggi sanno tutto questo? Quale ruolo hanno giocato per secoli i fossi della centuriazione?
6. E savour. Una marmellata saporitissama che vien fatta con tutti i frutti di fine estate. Così si chiama in romagnolo, ma so per certo che è un tipico prodotto che si fa in tante parti d’Italia, con frutti locali e con nomi che cambiano di zona in zona.
7. Le madonne e le cellette. I crocicchi delle strade di Romagna sono marcati da centinaia di cellette e madonne. Religiosità popolare, saluto e preghiera per il viandante. La via dei Romei, le strade dei pellegrini d’Europa sono punteggiate di cellette.
8. Le saline di Cervia.Un patrimonio unico in Italia. Centinaia di ettari dedicati a quel prodotto che proprio perchè un tempo di gran valore, veniva usato come moneta di pagamento. Da qui la parola “salario”.
9. Pasta, vini, frutti e verdure, formaggi. Quando si è fuori Italia e fuori dalla nostra regione, spesso – quando ci sediamo a tavola – rimpiangiamo la buona cucina romagnola e italiana. Scopriamo paste fatte in casa, tipiche di ogni zona. E così i formaggi, i prodotti dell’orto, i vini.
10. La bicicletta. E’ certamente il mezzo di spostamento più comune ai romagnoli, in un territorio che orograficamente la favorisce. Per le scuole può anche essere uno dei mezzi da utilizzare per spostamenti brevi o per la gita scolastica. Ma non solo in Romagna.

Aspetto ora i vostri suggerimenti. Scrivetemi.
Potremmo fare un archivio di questi curriculum “tipicamente locali”.

Zavalloni Gianfranco
via Prov. Diolaguardia 3660
47020 Sorrivoli di Roncofreddo
Forlì-Cesena (Italia)


IL LOCALE NELL’ERA DEL GLOBALE
a proposito di curriculum locale…


“Quel che accade nel villaggio, accade nel mondo e quel che accade nel mondo, accade nel villaggio. Per questo sono un provinciale convinto e credo che si diventi cosmopolita solo attraverso la provincia…”. E’ una espressione di G.Meier e W.Morlang, tratta da Das dunkle Fest des lebens, (Basel, Bruckner und Thünker, Köln,1995), in cui mi riconosco pienamente e che da il senso dell’approccio locale, provinciale o regionale alle tematiche della globalizzazione.

Ogni villaggio, ogni realtà locale, ha tradizioni, riti, espressioni artistiche, modi di costruire le case, produzioni culturali, ricette tipiche in cucina con pietanze e sapori legati a quella terra specifica, maniere di vestirsi e costumi propri, una parlata (cioè una lingua non un dialetto), usata dai viventi e tramandata di generazione in generazione.

Le arti creative di un territorio: poesie, romanzi, pittura e musica
Sono poi convinto che – come afferma Gary Lawless – ogni territorio del nostro pianeta ha bisogno di un poeta che ne apprenda il linguaggio, i ritmi, i cicli e sappia dar voce all’esperienza, affinchè quel luogo possa parlare tramite la poesia”. Ma la poesia è solo una delle tante espressioni artistiche e intellettuali. Come sarebbe possibile un romanzo senza una collocazione spaziale o comunque una contestualizzazione. Gianni Rodari ci ricordava anni fa, che comunque sia, la creatività è, di fatto, la combinazione di più elementi o esperienze vissute. Cioè, per esemplificare, anche un animale fantastico che nasca nella nostra memoria o si sviluppi in un quadro è l’insieme di tante componenti (occhi, bocca, zampe, coda, corna…) provenienti da altrettanti animali. Animali che vivono in luoghi precisi. Riusciamo ad immaginare certi olii di Vincent Van Gogh senza i paesaggi veri della Provenza, nel sud della Francia? E che ne sarebbe poi di Kafka senza Praga?
Poi ci sono gli elementi naturali che hanno educato alla musica l’uomo e il suo orecchio. Gli uccelli, con i gorgheggi dell’usignolo, i solfeggi degli allocchi, del gufo, del chiù, il richiamo dell’upupa, lo sfregolio delle cavallette e delle cicale, i barriti dei capriolo, l’ululato dei cani o il canto delle rane e delle raganelle negli stagni. È chiaro quindi che ogni ambiente, ogni luogo (io le chiamo bio-regioni), offre effetti musicali propri: dalle spiagge del mare alle cime delle montagne, passando per le caverne e le foreste.

6000 Lingue locali: un esempio di biodiversità
E’ stato calcolato che nel mondo esistano circa 6000 lingue.
Una lingua, come afferma Silvia Carrel, è una specie di DNA, il codice genetico di un popolo. E’ l’essenza, la struttura stessa di una cultura. Una lingua è molto più di un insieme di suoni, di caratteri, di parole e di grammatica. Essa contiene la memoria collettiva di una comunità ed è spesso associata alle varie sfaccettature delle relazioni sociali, dei valori morali, dei punti di vista politici e delle tradizioni. Altro che inglese come unica lingua internazionale. La lingua parlata da una comunità è sicuramente uno degli strumenti primari per porre in profondità le proprie radici. Come sarebbero possibili certe espressioni linguistiche locali in inglese? Di fatto, poi, queste espressioni sono intraducibili.

Scelte concrete per una economia locale
Dal punto di vista economico – in estrema sintesi – la penso esattamente come Wendell Berry, l’ex professore universitario americano che ha scelto di vivere da agricoltore ed ha poi redatto il famoso “manifesto del contadino impazzito”. Wendell consiglia tutti noi in questa maniera: fate la spesa vicino a casa, comprate in un negozio piuttosto che in un ipermercato, non comprate niente di cui non abbiate bisogno, fate tutto quello che potete da soli, se non potete farlo da soli, vedete se un vicino può farlo per voi, comprate prodotti alimentari coltivati nella zona, coltivate qualcosa per il vostro consumo personale, andate in vacanza vicino a casa vostra. In poche parole un programma concreto, capibile da chiunque, di economia in antitesi alla globalizzazione.

Musei etnografici luoghi di memoria e di identità
Potrei continuare trattando di abbigliamenti, di costumi, di copricapi , di decorazioni, ma anche di teatro, musica e strumenti musicali danze e canti, di agricoltura, di riti religiosi, di feste, ricorrenze e celebrazioni, di strutture organizzative, di attrezzi da lavoro, di forme di proprietà collettiva, di artigianato. Sono tematiche che spesso ritroviamo molto ben esemplificate nei cosiddetti musei etnografici, di cui, per fortuna, i nostri territori si stanno dotando. “Il museo è lo specchio in cui una comunità può riconoscersi, leggendo la propria origine, la propria identità, la propria cultura, ed è lo strumento con cui essa può comprendere i problemi del suo avvenire” (Rivière Georges).


10 PROPOSTE DIDATTICHE SULLA LINGUA ROMAGNOLA

“…recupero delle capacità di espressione in dialetto non come alternativa,
ma come completamento alla crescita delle generali capacità espressive,
non come anti-italiano o come cultura alternativa e simili,
ma come componente di un movimento di riappropriazione
dell`intero patrimonio espressivo e culturale tradizionale…”
Tullio De MauroMinistro della Pubblica Istruzione – anno 2000

In occasione del corso sulla lingua romagnola, tenutosi a Rimini nell`aprile-maggio 2000, sono emerse 10 proposte che verranno portate avanti da una commissione di studio sulla didattica della lingua romagnola. Tale commissione unirà le risorse di insegnanti, studiosi, scrittori e ricercatori ponendosi come obiettivo la ricerca di strumenti e di possibili itinerari didattici sulla lingua romagnola inserita in un curricolo locale

1. alfabetiere in romagnolo | sullo stile degli Alfabetieri usati in 1° elementare, ma in romagnolo

2. carta geografica della Romagna | indicando le varie “parlate” in romagnolo, con i toponimi romagnoli tradizionali

3. carte in romagnolo (sullo stile delle funzioni di Propp) | per attività di elaborazione-creazione di storie, fiabe, racconti

4. gite nei posti caratteristici, per conoscere meglio il nostro territorio
È importante farsi una “mappa della bioregione Romagna” per conoscere le nostre radici e trovare fin da piccolo “il senso di appartenenza al luogo in cui si vive”:
– la posizione del nord
– il sorgere e il calare del sole e della luna
– i venti e le piogge dominanti
– il fiume e la valli
– le colline e le montagne,
– i coltivi, i tipi di suoli e di formazioni geologiche,
– il nostro quartiere, la città, o il paese
– le piante, sia isolate o raggruppate in boschi
– le presenze degli animali

In seguito si possono ricercare particolari riguardanti

  • i luoghi naturali
  • le informazioni storico-archeologiche
  • le storie orali
  • le tradizioni religiose e laiche
  • le canzoni
  • l’uso nella medicina popolare delle erbe selvatiche
  • i proverbi e le filastrocche:
  • rocce di forma particolare
  • sorgenti, fontane, pozzi, ponti
  • antiche chiese
  • castelli
  • casali
  • rovine

Ci sono poi i toponimi particolari.
Ad esempio località come “il faggeto” ricorda che una volta forse c’era un bosco. Sono tutti elementi che possono narrarci la storia del luogo e che si possono riportare in una mappa per iscritto, con disegni vicino ai luoghi di riferimento, nome in romagnolo e traduzione in italiano.
Anche riguardo all’uso del territorio si possono ricercare:
i tipi di colture

  • varietà di piante da orto o da frutto locali
  • i tempi di aratura, di semina e di raccolta (mietitura, vendemmia) sia per le specie coltivate che per quelle selvatiche (erbe e bacche).

Per la vegetazione si tratta di individuare quali sono:

  • le piante native (alberi, arbusti, erbe)
  • i loro cicli (periodi di fioritura e di fruttificazione)
  • l’uso tradizionale che ne Ë stato fatto nei secoli (artigianato, medicina popolare)
  • la composizione dei boschi e delle siepi.

Per gli animali si tratta di individuare
i mammiferi
gli uccelli
i rettili
gli anfibi
gli insetti (utili per l impollinazione delle piante)
i loro habitat, i loro cicli vitali (accoppiamenti, nascite, periodo del letargo),
l’arrivo degli uccelli migratori.
Infine, qualcosa che ci lega intimamente e in maniera unica al nostro territorio.
I colori degli alberi da frutto e del bosco nelle varie stagioni, i suoi ricorrenti (il vento tra gli alberi del bosco vicino alla nostra casa, la pioggia, il canto dei vari tipi di uccelli) e gli odori particolari (per esempio le fioriture degli alberi da frutto).
In tutto questo ci sta la grande risorsa del cibo e dell cucina che da soli offrono un mare di opportunitý, soprattutto perchË legati alla quotidianitý.
(vedi G.Quondamatteo, L.Pasquini, M.Camminiti – Mangiari di romagna, Grafiche Galeati Imola, 1975)

5. poesie in lingua romagnola | per saper usare in maniera originale e artistica le parole della lingua madre

6. guida didattica alle opportunità romagnole:
– località particolari (contrade, borghi &)
– chiese storiche
– monumenti tradizionali
– immagini sacre (tipo Crocifissi, Madonne..)
– laboratori di artisti
– opere d`arte
– botteghe storiche di artigiani (tegliaio, stampatori di tele a ruggine, ecc…)
– musei e biblioteche
– i nonni con certe esperienze

7. sussidiario romagnolo

facendo una ricerca soprattutto nelle riviste, nei giornali e nei libri si potrebbe realizzare un vero e proprio sussidiario in romagnolo con:
– poesie
– ritagli di giornali
– racconti tipici della Romagna
– descrizione di personaggi
– autori romagnoli
– storie locali
– aneddoti
– filastrocche
– feste

8. censimento dei materiali già realizzati nelle scuole.

si dovrebbe innanzitutto recuperare i materiali di documentazione di esperienze fatte in questi anni nelle scuole. » importante, a partire dall’esperienza di chi questo lo ha già fatto, capire “cosa e come documentare” le esperienze realizzate. Si tratta di acquisire la capacità di raccogliere e catalogare (per una possibile futura fruizione) le esperienze già fatte.

9. vocabolari e grammatiche | per partire, materiali minimi ma di grande valore:
Vocabolario Romagnolo Italiano di Adelmo Masotti Zanichelli, Bologna 1996
Dizionario Romagnolo (ragionato) I e II volume Gianni Quondamatteo Tipo Lito “La Pieve”, Verucchio 1982
A vuria zcar in dialet (vorrei parlare in dialetto) Amos Piccini Ed. Giusti, Rimini 1996
Grammatica del dialetto romagnolo Ferdinando Pelliciardi Longo Editore, Ravenna 1977

10. indirizzi, biblioteche, editori, riviste | indirizzi dei relatori del corso da contattare eventualmente per un lavoro nelle scuole
Biblioteche Gambalunga (a cura di Ar emni)
Biblioteca Malatestiana a Cesena
Biblioteca Comunale di Savignano
Accademia dei Filopatridi a Savignano
Biblioteca Comunale di Sant`Arcangelo
Museo Etnografico Territoriale di Santarcangelo
Accademia Rubiconia dei Filopatridi a Savignano sul Rubicone

Ci sono poi le librerie con un loro settore romagnolo di vendita

Infine le case editrici locali

Fra le riviste:
La Ludla, bollettino dell`Istituto “Friedrich Schurr”
Confini, Arte, letteratura, storia e cultura della Romagna contemporanea
La Pié

Ufficio Europeo per le Lingue Meno diffuse
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Sint-Jooststraat – Rue Saint-Josse 49 B –
1210 Brussel – Bruxelles
Tel (+32 2) 218 25 90 Fax (+32 2) 218 19 74
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