Ridere a scuola

Non prendersi troppo sul serio

Nella mia esperienza ho il ricordo di una scuola per alcuni aspetti rigida: a scuola non si poteva fischiare per esempio. Ricordo questa cosa perché per me, bambino di campagna, la proibizione di fischiare era una cosa che non riuscivo a concepire. Poi ho imparato a fischiare molto bene nei corridoi alle scuole superiori. Quante cose ci hanno impedito di concepire la scuola come un luogo dove ci si potesse divertire.
Credo di aver imparato quanto sia importante ridere anche dalla mia esperienza professionale di insegnante. Ricordo sempre una bambina che dopo sei ore trascorse insieme a scuola materna, mentre uscivo dopo il primo turno, mi guarda dall’alto delle scale e mi chiede: “Ma adesso maestro dove vai? A lavorare?”
Stavo vivendo l’esperienza da maestro con piacere e quindi nessuno di loro aveva capito che quello era il mio lavoro. Mi resi conto in quel momento di quanto importante fosse appassionarsi, vivere con gusto e con piacere quell’esperienza.

Saper ridere insieme delle cose semplici, banali ma anche delle cose difficili


Intanto dalle riflessioni che ho raccolto in questi giorni ho scoperto che è difficilissimo ridere da soli. Non so chi di noi riesca a ridere da solo. La risata è un fatto sociale, collettivo.
Ma è tanto importante ridere con gli altri quanto è importante non ridere degli altri. Un conto è il riso e un conto è la derisione. Ridere degli altri presuppone, di fatto, una vittima.
Qualcuno mi diceva quanto sia brutto quando dei bambini deridono un altro bambino. Possiamo anche dire che questo fa parte del gioco dell’essere bambini ma quando è l’adulto, l’insegnante, a deridere un minore, diventa una cosa tremenda. Credo che questa sia una di quelle cose che segni in maniera molto profonda il vissuto di un allievo. Se un falegname si fa male, si taglia un dito, ma quando un insegnante sbaglia, quando ferisce, le conseguenze ricadono sulla pelle di altri.
Ridere assieme è un gesto di complicità. Voglio qui ricordare un insegnante di una piccola scuola della Val Marecchia che ha adottato dei sistemi molto semplici per esorcizzare un fatto negativo e per sentirsi insieme complici di un fatto bello. Lui sa suonare benissimo l’organetto e allora per quando succede qualcosa di brutto a scuola hanno inventato una sorta di punizione: insieme si mettono a cantare una canzone particolare. E’ un modo per dire: “Non siamo riusciti a trovare chi ha combinato quel guaio, insieme facciamo questo momento rituale, passato questo momento non ci pensiamo più e andiamo oltre”. Quando io sono andato a trovarli per fare un piccolo spettacolo di burattini, mi hanno salutato con l’organetto, hanno fatto un ballo, una sorta di quadriglia, hanno cantato e ballato insieme. Hanno gioito insieme di una cosa molto bella come sanno gioire insieme quando avviene un fatto negativo.
C’è una’altra collega che quando non fanno il compito apre la finestra e finge di chiamare l’ambulanza, oppure parla una lingua diversa, parla in napoletano. Sono dei giochi che potremmo definire “dell’assurdo”.

L’errore creativo


Vi voglio leggere una cosa simpatica di una collega.
“Paolo aveva più o meno quattro anni quando vinse la sua prima e forse unica gara di pesca. Quando il lunedì mattina raccontò la sua impresa della domenica, Paolo disse di aver pescato una ‘trottola’ molto grossa. Gli altri bambini scoppiarono in una gran risata perché pensarono alla nostra bella trottola sonora e colorata che qualcuno corse subito a prendere. Paolo si accorse dell’errore, anche se ha continuato per lungo tempo a chiamare la sua trota ‘trotta’, e spiegò che aveva pescato un pesce, non un gioco, ma poiché era molto più divertente pescare una trottola che una trota, i bambini con grande ironia cominciarono una specie di gioco dell’assurdo e pescarono di tutto attingendo alla loro scatola dei giocattoli”.
La comicità è un fatto istintivo mentre l’umorismo è più un’elaborazione intellettuale. La comicità nasce da un fatto immediato, talvolta banale: tu vedi una buccia di banana, c’è una persona che sta per passare, sai che se mette il piede lì probabilmente cade, mette il piede, cade e tu ridi, anche se sapevi tutto questo fin dall’inizio. E’ la comicità dei film comici, mentre l’umorismo è un’elaborazione culturale.
Vorrei citarvi una riflessione di Adner Deve: “Tra tutti i comportamenti umani, l’umorismo è probabilmente il più ricco. Ciò che avvertiamo è una gioia pura, un vero piacere. L’umorismo oltre a queste manifestazioni fisiologiche contiene in sé tutta la ricchezza della psicologia umana comprende aspetti intellettuali, emotivi, sociali e fisiologici”.
Se tra l’altro andiamo a vedere nella tradizione popolare scopriamo un’infinità di detti: “Il riso fa buon sangue”, “Ogni risata toglie un chiodo dalla bara”. Qui si apre tutto il discorso della risata terapeutica che è stato rilanciato in grande stile dal film “Pach Adams”.
Tra l’altro una cosa interessante è che, in questo tempo in cui si brevetta ormai tutto, molto spesso sia la comicità sia l’umorismo non hanno copyrigth. La barzelletta nasce probabilmente dal popolo, molto spesso non si sa chi l’abbia inventata.
Qualcuno ha definito l’umorismo ‘l’arma dei disarmati’. Mi è venuto in mente il film “La vita è bella”, la rappresentazione di un’esperienza nel campo di concentramento vissuta con l’arma dell’umorismo da uno che non ha armi.

Le occasioni per ridere


Noi dovremmo anche a scuola favorire oltre ad un atteggiamento di fondo al ridere anche delle occasioni per ridere. Sicuramente tre occasioni sono il teatro, in particolare il teatro dei burattini, il teatro in generale e poi sicuramente anche il comico. Non sono uno che oggi vede molto la televisione. Nella mia infanzia è arrivata molto tardi ma credo che “Le comiche” o films come quelli di Olio e Stanlio siano esperienze fortemente educative. Forse varrebbe la pena rilanciarle a scuola. Perché non fare un vero e proprio cineforum di film comici?
Ridere serve per guarire ma anche per apprendere meglio. Senza esagerare però! Un direttore mi ha raccontato di una madre che è andata in direzione a chiedere cosa insegnavano a scuola ai loro figli. “Ma per quale motivo?” chiede lui. “Mia figlia è venuta a casa dicendo che i Romani facevano le rapine in banca e queste cose qua”. Così viene a scoprire che c’era un insegnante che usava il film ‘S.P.Q.R.’ di Massimo Boldi per insegnare la storia dei Romani ai bambini.
Credo che non ci sia apprendimento se non c’è motivazione e che non ci sia motivazione ad apprendere se non c’è piacere. Ecco qui che viene rimesso in campo il discorso delle emozioni, della passione, del gusto per le cose. E torna un aspetto importante: come per il riso e per il gioco anche l’apprendimento è un fatto relazionale.
Vorrei andare verso la conclusione con due questioni molto semplici. La prima è relativa allo humor. Qualcuno dice “l’umorismo fa fare le capriole all’intelligenza” e “guardatevi dalle persone che non hanno il senso dell’umorismo”. Mi ha stupito molto scoprire che uno dei fautori dell’umorismo era Papa Giovanni XXIII, da poco beatificato. Raccontano che dopo i primi tempi del suo pontificato, durante i quali stava veramente prendendosi troppo sul serio, in un sogno ebbe una sorta di invito a cambiare.
Dice Adriano Ippolito che è stato vescovo a Rio de Janeiro: “Lo humor è un dono della natura ma è anche un fatto dello Spirito Santo e delle virtù teologali: la fede, la speranza e la carità. Chi è provvisto di humor guarda in modo rilassato il mondo, la gente e i fatti ed è in grado di ridere tanto degli altri quanto di se stessi”. - Non prenderti troppo sul serio - pare abbia detto Giovanni XXIII quando quando l’onere della chiesa lo opprimeva. I vescovi in genere sono troppo seri e privi di humor. Su temi ecclesiali poi non tollerano umorismo di sorta. Non sanno che il riso è una grazia di Dio, come ha mostrato Papa Giovanni. Sono queste le cose che ho imparato dal Papa buono e che nella mia lunga vita episcopale - 30 anni - ho cercato di mettere in pratica”. Mi verrebbe da leggere tutto questo dal mio punto di vista. Qui si parla di vescovi, ma inviterei presidi, direttori, dirigenti scolastici a rifletterci sopra.
Un aspetto che va collegato all’umorismo, alla comicità, allo star bene scuola è l’empatia, è il fatto di vivere in maniera piacevole il rapporto con gli altri.
Vi leggo per finire questo brano di Savater ‘A mia madre, mia prima maestra’ quando dice: “Come educatori non ci resta che l’ottimismo, così come chi fa del nuoto per praticarlo ha bisogno di un ambiente liquido. Chi non vuole bagnarsi deve abbandonare il nuoto, chi prova repulsione per l’ottimismo deve lasciar perdere l’insegnamento senza pretendere di pensare in che cosa consista l’educazione, perché educare è credere nella perfettibilità umana, nell’innata capacità di apprendere e nel suo intrinseco desiderio di sapere, nel fatto che ci sono cose, simboli, tecniche, valori, memorie e fatti che possono essere conosciute e meritano di esserle e che noi uomini possiamo migliorarci vicendevolmente per mezzo della conoscenza. Di tutte queste convinzioni ottimistiche si può ben diffidare in privato, ma nel momento in cui si cerca di educare o di capire in che cosa consista l’educazione non resta che accettarle. Con autentico pessimismo si può scrivere contro l’istruzione ma l’ottimismo è imprescindibile per portervisi dedicare ed esercitarla. I pessimisti possono essere bravi domatori ma non bravi maestri”. Mi verrebbe da dire :“Chi non ha la capacità di sorridere, di ridere non può essere un bravo maestro, un bravo educatore”.






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