I lettori del “CORRIERE DELLA SERA” hanno scelto questa immagine, insieme a quella dell’uomo sulla Luna, come le due più significative del Novecento. Su quel giornale Ernesto Galli della Loggia, il 24 dicembre1999, ha proposto di appendere la foto in tutte le scuole italiane.
Rilanciamo la proposta e, a tale scopo, ne inseriamo alcune copie dentro la nostra “valigia della memoria” a disposizione delle scuole coinvolte.
Un bimbo con le sue mani alzate, dietro di lui avanzano, sempre con le braccia in segno di resa, un gruppo di uomini e donne e ancora bambini. Al loro fianco i militari tedeschi imbracciano le armi.
Questa foto, scattata nel ghetto ebreo di Varsavia nel 1943, è l’immagine simbolo dell’Olocausto, dell’orrore: le piccole braccia alzate, lo sguardo terrorizzato, il cappello troppo grande, la morte temuta, vista, capita. La sola colpa di quel bambino è di essere ebreo ed è per questa colpa che sei milioni di ebrei sono stati sterminati nei lager nazisti.
Noi non sappiamo chi sia stato l’autore della foto ma, anche grazie a “didascalie” nella rivista delle scuole trentine di qualche mese fa, siamo stati molto felici di apprendere che quel bambino non è morto. Tysi Nussbaum: ecco il suo nome, 64 anni, pensionato, vive a Spinn Valley nello stato di New York.
“I tedeschi – dice- chiamavano la gente davanti all’hotel Polski. Avevano una lista, ma il mio nome non c’era. I miei genitori erano già stati ammazzati ed io non sapevo cosa fare. E’ allora che un altro tedesco ha detto: - E’ un bambino solo, tanto vale fucilarlo subito -, è allora che hanno scattato quella foto”.
Un fucile puntato, attimi lunghi e terribili, lui aveva solo sette anni. In quel momento suo zio Shalom esce di corsa dalle file e urla: “Fermo, quello è mio figlio.”
Il bambino e lo zio vengono portati nel lager di Bergen Belsen. Lo liberano gli americani alla fine della guerra.
Torna alla pagina didattica